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pregare per le anime del purgatorio
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Perché bisogna pregare per la anime del purgatorio

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Perchè bisogna pregare per le anime del purgatorio? E come pregare per loro? Innanzitutto dobbiamo comprendere cosa significa la parola suffragio. Molti di noi la pronunciamo quando parliamo dei nostri cari, ma tantissimi non sanno ancora cosa vuol significare. Ce lo chiarisce la teologia:

Suffragio è qualsiasi aiuto dato da un fedele ad un altro per ottenere da Dio la remissione di una pena temporale. In modo particolare il suffragio indica, nel lin­guaggio comune, il soccorso prestato da un vivente ad un’anima sofferente nel Purgatorio, per aiutarla a pagare i debiti di pena temporale contratti con la giustizia divina. La possibilità e la realtà del suffra­gio è stata dalla Chiesa definita come verità di fede.

Il Sinodo di Arras del 1025 ammette che un vivo possa pagare, con le sue opere buone, per i debiti spirituali d’un defunto, impossibilitato ormai a far ciò direttamente.

Il I° Concilio di Lione (1245) insegna, in modo chiaro, l’esistenza del Purgatorio e la possibilità del suffragio. Il 2° Concilio di Lione (1274) ritorna su questa dottrina e specifica le opere più utili per suffragare le anime del Purgatorio: la S. Messa, le elemosine, le altre opere di pietà approvate dalla tra­dizione della Chiesa. Nel 1439, il Concilio di Firenze ripete quasi alla let­tera le espressioni del Concilio di Lione.

Sisto IV (1476) afferma solenne­mente, per la prima volta, che le in­dulgenze possono essere applicate anche alle anime dei defunti.

Il Concilio di Trento, dovendo com­battere gli errori dei Protestanti, ha definitivamente dichiarato che i suf­fragi sono possibili e che, tra essi, il primo posto lo tiene la S. Messa, il cui valore soddisfattorio si può estendere tanto ai vivi quanto ai defunti.

Le affermazioni della Chiesa, la cui autorità sul piano teologico è deter­minante e decisiva, sono fondate oltre che sulla S. Scrittura, anche sulla co­stante tradizione di tutta la Chiesa.

I Padri, la liturgia, l’archeologia sa­cra, i dottori scolastici si riallacciano sempre all’uso della Chiesa di prega­re per i defunti durante il Santo Sacrificio; uso antichissimo che prova la ferma persuasione di compiere un’azione in perfetta armonia con l’insegnamento apostolico e la Rivelazione divina.

S. Agostino ci richiama all’uso litur­gico di pronunziare i nomi dei defun­ti, durante il S. Sacrificio, in un posto e in un senso diverso da quello dei mar­tiri. Secondo S. Gregorio le anime che, pur essendo in grazia, hanno ancora da soddisfare la giustizia divina, pos­sono essere soccorse dalla S. Messa. S. Giovanni Crisostomo afferma riso­lutamente l’utilità dei suffragi, che consistono soprattutto nelle preghie­re, nelle elemosine, nel S. Sacrificio.

S. Efrem, esponente della Chiesa si­riaca, si rivolge nel suo testamento ai fratelli perché lo ricordino al Signore, e in tal modo lo soccorrano nelle pro­ve dell’altra vita.

Fin dall’inizio, durante la celebrazio­ne dei divini misteri, si leggevano i no­mi dei defunti che si volevano ricorda­re al Signore. Più tardi si ebbero formu­lari interi di Messe per i defunti. Ancor oggi, specialmente le orazioni delle tre Messe del 2 novembre, sono una prova evidente della realtà dei suffragi.

Accanto alla liturgia si hanno gli epi­taffi o le iscrizioni funebri, le quali non solo attestano la continuità d’un lega­me d’amore tra i vivi ed i morti, ma provano anche l’utilità che le preghiere e le azioni dei fedeli della terra recano alle anime che soffrono nel Purgatorio. Esse augurano ai defunti la vita in Dio, in Cristo, nello Spirito Santo, tra i Santi, nella pace, nell’eternità.

S. Tommaso d’Aquino afferma che i suffragi non giovano ai Santi del cielo: essi infatti, avendo raggiunto il loro ul­time fine, non ne hanno più bisogno.

Di conseguenza, le uniche che pos­sono essere soccorse dai nostri suffra­gi sono le anime del Purgatorio. Esse sono unite a noi dalla carità e hanno maggior bisogno di noi, poiché non possono affatto aiutare se stesse. I vivi dunque possono aiutare le anime sof­ferenti a scontare le loro pene e paga­re così i loro debiti con la giustizia di­vina: esse infatti, non avendo ancora raggiunto l’ultimo fine, sono ancora, in un certo senso, in stato di via e non già di termine.

Dopo aver provato l’esistenza dei suffragi, e dopo aver esaminato per quali persone si possono offrire, S. Tommaso studia quali sono i mezzi pratici di suffragio. Egli ragiona così: se i legami con le anime sofferenti sono costituiti dalla carità e dall’intenzione, si deve ritenere che saranno loro di maggior giovamento le opere che sono di per sé trasmissibili ad altri, ossia quelle opere che più direttamente si fondano sulla carità e che sono in com­pleta dipendenza dall’intenzione.

In concreto, dette opere sono: la S. Messa, che è per eccellenza il Sacramento dell’unione e della ca­rità, poiché contiene Cristo, centro di tutta la Chiesa, la sorgente ultima del­l’amore che tutti ci collega; le elemosi­ne, le quali sono il frutto principale della carità; la preghiera, che più di­rettamente è ordinata a colui per il quale si prega. A questi mezzi princi­pali si devono aggiungere le indul­genze e, in modo secondario, tutte le altre opere buone.

La S. Messa giova in quanto è un sa­crificio di soddisfazione; secondo questo punto di vista tutte le Messe giovano ugualmente, benché quelle proprie dei Morti siano loro partico­larmente utili, in quanto contengono preghiere speciali.

L’elemosina è un’altra opera soddi­sfattoria, che può essere offerta in ripa­razione del peccato, dal momento che costa sacrificio. Ed è proprio in questo senso che essa ha valore: non conta tan­to la quantità di ciò che si dà, quanto, e più, il sacrificio che ne deriva a chi dà.

Le indulgenze infine, in modo di­retto e principale, sono in favore di chi compie le diverse opere prescritte dalla Chiesa; esse quindi valgono di­rettamente e principalmente per i vi­vi, e non già per i defunti, i quali non possono più eseguire le opere richie­ste. Tuttavia esse, indirettamente e in maniera secondaria, possono giovare anche ai defunti; basta che si verifichi­no due condizioni: che ci sia qualche fedele che compia per il defunto le opere prescritte; che ci siano le soddi­sfazioni della Chiesa. Non c’è, infatti, motivo perché la Chiesa possa trasfe­rire i meriti, sui quali si fondano le in­dulgenze, ai vivi, e non già ai defunti.

Sisto IV determinò esattamente il mo­do con cui le indulgenze sono applicate ai defunti. La formula classica è questa: “Per modum suffragii”. Il suo vero signi­ficato è: le indulgenze concesse dalla Chiesa per i defunti hanno un valore certamente maggiore di tutti gli altri suffragi privati; tuttavia giovano ai de­funti nello stesso modo degli altri suf­fragi.

Il maggior valore è dato dal fatto che le indulgenze applicano i meriti della Chiesa, la cui autorità presso Dio è più grande di quella dei singoli fedeli.

Tra le opere di suffragio tiene un posto di privilegio l’atto eroico, fiore supremo della carità cristiana, che ve­de e ama Cristo nei propri fratelli più sofferenti, nella maniera più disinte­ressata possibile.

Per ben comprendere in che cosa con­sista quest’atto eroico, si deve distin­guere nelle opere buone un triplice va­lore: il merito, per sé inalienabile e quin­di strettamente personale; il valore sod­disfattorio, ossia la capacità di espiare la pena dovuta alle colpe commesse; il valore impetratorio, cioè la forza mo­rale di ottenere da Dio i suoi favori. Con l’atto eroico noi offriamo a Dio in favore delle anime del Purgatorio tutto il valo­re soddisfattorio delle nostre opere buone compiute in vita e tutti i suffragi offerti per noi dopo la morte.

L’atto eroico è, per natura sua, perpe­tuo e irrevocabile; tuttavia se uno, col passar del tempo, lo revoca, non com­mette nessun peccato: proprio in que­sto l’atto eroico si distingue dal voto.

I fedeli che emettono tale atto sono perciò unicamente nelle mani della giustizia divina; hanno rinunciato ad ogni possibilità di pagare i loro debiti sia in questa, come nell’altra vita. Tuttavia devono avere una grande fi­ducia, basata sul sacrificio eroico da essi compiuto: Dio non si lascia vince­re in generosità e certamente saprà ri­compensare in altri modi coloro che si sono dimostrati così caritatevoli.

Inoltre le anime liberate dal Purgatorio non potranno non intercedere per i lo­ro benefattori. Infine giova ripetere che tali fedeli, se hanno rinunciato al valore soddisfattorio, non hanno ri­nunciato ai meriti; anzi la carità che essi esercitano in grado eroico, au­menterà il loro merito e, di conse­guenza, la loro gloria essenziale.

Storicamente la pratica dell’atto eroi­co risale ai tempi di S. Geltrude; il pri­mo però che l’emise formalmente fu il p. Ferdinando di Monroy (1646). Il tea­tino Gaspare Oliden di Alcala, nel seco­lo XVIII, ne divenne l’Apostolo, e S. Alfonso, con le sue Massime Eterne, ne fu il principale divulgatore.

Ben presto la S. Sede l’approvò, per mezzo di Benedetto XIII, nel 1728; Pio VI nel 1788 e Pio IX nel 1852 l’arricchi­rono di molte indulgenze e privilegi. In questo modo l’atto eroico è una delle pratiche di suffragio più utili e una delle conferme più luminose del­la Comunione dei Santi.

Il valore impetratorio delle preghie­re dei defunti può essere comunicato a noi, per il fatto che la carità unisce tutti i membri del Regno, ovunque es­si siano, e rende quindi sempre possi­bile il mutuo scambio di opere so­prannaturali.

Se le anime del Purgatorio possono pregare per noi, ne deriva, come logi­ca conseguenza, che noi possiamo ri­volgerci a loro e invocarle.

Ecco quindi quali sono i rapporti tra Chiesa militante e sofferente, nel­l’anelito della Comunione dei Santi: i fedeli viventi suffragano le anime del Purgatorio con le loro opere buone, con le loro preghiere, con le loro ele­mosine e soprattutto con le indulgen­ze ed il Sacrificio Eucaristico; essi pa­gano, con il valoore soddisfattorio del­le loro azioni, i debiti contratti con la giustizia divina da queste anime or­mai salve; inoltre con la loro interces­sione implorano da Dio misericordia per esse e, se possibile, un condono anche gratuito; dal canto loro le ani­me sofferenti, non potendo far altro, ricambiano i fedeli della terra con il loro patrocinio e le loro preghiere presso Dio, nell’attesa di concedere una ricompensa più generosa e ab­bondante, quando saranno nella vi­sione di Dio.

Nella luce della Comunione dei Santi, il Regno del dolore che purifi­ca, diviene così il Regno dell’Amore che redime. La Chiesa militante ha perciò una missione che supera il tempo e si proietta fin sulle soglie dell’eternità: essa deve concorrere mediante il suffragio a completare l’opera della salvezza delle anime. Solo quando il Cristo totale regnerà nella beatitudine eterna del Padre, la missione della Chiesa si trasformerà e si sublimerà: non sarà più soltanto la collaboratrice di Cristo, ma diven­terà, a pieni titoli, la sposa immacola­ta dell’Agnello.

(da: “Teologica” n. 31 – 1-2/2001)


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