Bertilla Antoniazzi: la forza dell’amore
Una frase di Bertilla Antoniazzi: “Non mi son mai preoccupata di chiedermi se ho la vocazione di farmi suora perché la mia vocazione è quella di fare l’ammalata, e non ho tempo di pensare ad altre cose”. Questa è la risposta che Bertilla Antoniazzi diede al suo parroco durante una visita. Aveva solo 16 anni.
Quanti di noi oggi avrebbero il coraggio e determinazione di parlare cosi’?. Bertilla nacque il 10 novembre 1944 in un paese del vicentino, dove la seconda guerra mondiale lasciò testimonianze atroci di dolore e morte. Nonostante il clima di terrore Antonio e Luigia, una coppia capace di sperare nella Provvidenza, accolsero una nuova vita, portatrice di luce, speranza e amore, come dimostrò nella sua breve esistenza.
Questi genitori insegnarono con gli esempi, prima che con le parole. Non ebbero mai avuto paura della fatica del lavoro, furono sempre pronti ad aiutare i vicini. Seppero condividere quel poco che avevano. E’ in questa famiglia-una piccola chiesa- che Bertilla crebbe insieme ai suoi sette fratelli.
Bertilla Antoniazzi, amò sempre moltissimo il rosario, la preghiera insegnatale dalla mamma e recitata tutti insieme ogni sera dopo cena. A otto anni venne colpita da un’endocardite reumatica, una malattia al cuore che le tolse il respiro e le forze, costringendola per lunghi periodi a letto e in ospedale, senza però riuscire mai a spegnere la sua gioia di vivere e a toglierle il sorriso. Sebbene fosse così giovane abbracciò la malattia ed imparò ad utilizzarla.
Dopo la sua morte infatti, fu trovato un “diario” dove lei scriveva per “chi” erano offerte le sue sofferenze. Inizialmente i suoi cari, e poi con il passare degli anni al mondo: anime del purgatorio, sacerdoti e le anime più lontane da Dio, per riparare le offese al Sacro Cuore di Gesù.
Bertilla Antoniazzi diventò una “missionaria della sofferenza”. Ogni mattina “indossava” il suo dolore, come si indossa una divisa, con entusiasmo, anche se era pesante come un macigno. Visse così i giorni più belli della sua adolescenza, inchiodata a quella croce, ma con il sorriso sulle labbra, da eroina, non da sconfitta, tanto da poter consigliare a suo cugino Aldo, affetto da sclerosi multipla: “Ti esorto a non lasciar andare perduto un solo
momento della tua sofferenza senza averla posta nelle mani di Gesù”. I suoi familiari sempre al suo fianco, la sentivano spesso mormorare tra sé: “Tutto per amore di Dio”. Sulle prime non diedero molto valore a quelle frasi, pensando che le ripetesse per darsi coraggio; in realtà per lei costituiva una vera e propria regola di vita. Morì a 20 anni ,circondata dall’affetto dei suoi cari.
Fratelli e sorelle oggi più che mai siamo provati dalla sofferenza fisica e morale. Seguiamo perciò l’insegnamento di questa giovane la cui vita, fin dall’infanzia, fu un “martirio bianco” vissuto per il Signore con la gioia negli occhi e nel cuore.