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Dire no a Dio cosa succede?

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  • Cosa significa dire no a Dio?
  • Dio ci vuole felici e salvi
  • Dubbio
    • Il no a Dio sono spesso scelte irresponsabili
  • Verità evangelica
  • Alla resurrezione
  • Somma sapienza del Signore
    • Scopri di più da Annalisa Colzi

Alcuni si fanno la domanda: Posso dire no a Dio? La risposta è palese: “Certo, il Signore ci ha creati liberi di scegliere”. Ma se diciamo no, ci saranno conseguenze? Certi che si, perché Dio ci ha creati anche responsabili.

Cosa significa dire no a Dio?

Innanzitutto bisogna capire cosa significa dire no a Dio e come facciamo a capire se abbiamo detto no oppure si.

Di certo non diciamo no come si dice a una persona che ci domanda qualcosa. Il nostro no sta nella disobbedienza alla sua legge divina.

Alcuni vedono i 10 comandamenti come un obbligo, una costrizione, senza sapere che tale legge è un vero dono del cielo e non una costrizione. Se viene rispettata; la vita dell’uomo diventa felice, fatta di pace, di rispetto, di amore, di intesa, di gioia.

Dio ci vuole felici e salvi

Dio vuole che tutti gli uomini si salvino (cfr. 1 Tm 2, 4), non ci costringe ma ci mette dinanzi ad una scelta. Dire no a Dio quindi vuol dire girare le spalle alla pace, alla gioia, e soprattutto alla vita beata eterna. Rispettare la sua legge quindi diventa un gesto amoroso, solo infatti amandolo noi riusciremo a vedere i suoi comandi come comandi d’amore.

Come dicevo quindi, nostro Signore non constringe nessuno ad amarlo e a preferirlo ai beni creati. Dio, quindi, non condanna nessuno, è la creatura che dicendo no a Dio, che condanna se stessa. Nel caso in cui muoia consapevolmente e volontariamente lontana da Dio (cosa che solo Dio può sapere), avrà per sempre la sorte che ha scelto per sé, perché la morte pone l’essere umano in uno stadio definitivo, nel quale non è possibile alcun mutamento.

Bisogna poi riconoscere che nessuna creatura può giudicare Dio, che è per definizione Somma Perfezione e Santità Assoluta. Quando Egli sembra ingiusto alla limitata ragione umana, lo sembra non perché sia meno giusto dell’uomo (un Dio ingiusto non può esistere quindi dire no a Dio è ribellarsi a ciò che per noi stessi è buono), ma perché il Suo disegno salvifico trascende l’intelletto umano.

Dubbio

Alcuni dicono: “Sono cattolico, ma ho un dubbio che mi assilla e mi infastidisce: la questione della condanna eterna… Quindi se Dio no a Dio, Lui mi manda all’inferno. Come può un Dio tanto misericordioso lasciare che i Suoi figli si dannino? Per me, l’inferno è il luogo dei demoni, e non dei figli di Dio. Non credo che all’inferno ci siano esseri umani. Credo all’esistenza dell’inferno, ma non come luogo degli uomini peccatori e condannati”.

Rispondiamo per parti. San Paolo afferma che Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità (cfr. 1 Tm 2, 4). Questa verità deve essere sempre davanti agli occhi di chi studia questa tematica.

Dio non forza nessuno a salvarsi o ad amarlo al di sopra di tutte le cose. Rispetta la libera scelta dell’uomo quando questi preferisce la creatura al Creatore (dire no a Dio) o i beni finiti al Bene Infinito.

Non è quindi Lui a condannare la creatura, ma quest’ultima a condannare se stessa, optando per rimanere lontana da Dio. È un’altra verità di importanza capitale, che dissipa l’idea di un Dio come Giudice freddo e insensibile.

Il no a Dio sono spesso scelte irresponsabili

Ovviamente le scelte errate della creatura umana non si realizzano sempre in modo pienamente responsabile. Ci sono persone angosciate, acceceate, che non agiscono con piena cognizione di causa o in totale libertà. Dio – e solo Dio – conosce ciò che c’è in ciascuno, comprendendo la fragilità dei Suoi figli. Vede bene che spesso, anche quando sbagliano, cercano il bene, ma non sanno dove trovarlo. Profondo conoscitore del cuore umano, Egli non procede come un uomo, ma risponde alle ansie mal formulate di coloro che, senza colpa propria, Gli dicono di no.

Chi muore consapevolmente e volontariamente allontanato da Dio resta per sempre lontano da Lui non in un luogo dimensionale, ma in uno stato d’animo (l’inferno non è un serbatoio di zolfo fumante con diavoletti e tridenti). La morte stabilizza la creatura nella sua ultima opzione, di modo che dopo la morte non c’è modo di cambiare atteggiamento. La consapevolezza di questa verità incute nell’uomo il valore della vita presente e di ciascuno dei suoi istanti; è nel tempo che si configura la vita definitiva di ogni essere umano.

La morte colloca l’uomo in uno stato definitivo e immutabile. L’uomo resta per sempre amico o nemico di Dio, quindi quel si o quel no a Dio, può definire la propria destinazione futura.

Verità evangelica

Questa verità si trova nel Vangelo: Gesù dice ai dicepoli di vigilare, perché l’atteggiamento che avranno assunto in questa vita in relazione a Dio definirà la loro sorte definitiva. È quello che spiegano le parabole delle dieci vergini (Mt 25, 1-13), dei talenti (Mt 25, 14-30), del ricco e Lazzaro (Lc 16, 18-31), il quadro del giudizio finale in Mt 25, 31-46…

La stessa idea risuona nella predicazione degli Apostoli (cfr. G1 6, 10; 1 Cor 15, 24; 2 Cor 5, 10; 6, 2; Eb 3, 13). La tradizione cristiana l’ha sempre ripetuta, e il Concilio Vaticano I (1870), sospeso prima della conclusione, stava per promulgarla nelle sue definizioni teologiche dicendo che dopo la morte, che è il coronamento del nostro cammino, tutti dovremo subito presentarci davanti al tribunale di Cristo, perché ciascuno riceva la retribuzione di quello che avrà fatto di bene o di male quando era nel corpo (2 Cor 5, 10), e che dopo questa vita mortale non c’è più possibilità di penitenza e giustificazione.

Fino alla morte, ma solo fino a quel momento, la natura umana è completa (anima e corpo) e dotata delle facoltà che concorrono alla sua evoluzione (sensi, intelligenza e volontà) quindi se decide di dire no a Dio, è una scelta voluta. È logico che la decisione dell’uomo relativa al fine supremo sia presa dall’uomo nella sua natura completa. L’uomo non è solo spirito, ma spirito destinato a rendere vivo un corpo e a svilupparsi attraverso di esso.

Alla resurrezione

È vero che dopo la resurrezione il corpo sarà nuovamente unito all’anima, e allora perché non può esserci un cambio di opzioni dopo la resurrezione? Rispondiamo dicendo che la riunione di corpo e anima dopo la morte è una cosa a cui la natura umana non ha di per sé diritto, ma è un dono gratuito di Dio. Il corpo, allora, non servirà da strumento mediante il quale l’anima muterà le sue inclinazioni. Al contrario, le condizioni del corpo si adatteranno alle disposizioni, positive o negative, dell’anima, anziché influenzarle; i giusti avranno un corpo glorioso, mentre i reprobi ne avranno uno “tenebroso”.

L’irrevocabilità di un destino è una cosa che riusciamo a concepire difficilmente; tutto quello che conosciamo a questo mondo ci viene presentato come transitorio; non abbiamo l’esperienza del definitivo o della morte.

L’uomo è spesso tentato di criticare Dio, come se Questi fosse meno perfetto della creatura e dovesse imparare con lei ad amministrare la storia di questo mondo. Parlando in termini popolari, ciò equivale a dire che “se Dio non procede come penso io sta sbagliando, mentre io ho ragione”.

Questo atteggiamento è falso non solo agli occhi della fede, ma anche a quelli della ragione. Dio, per definizione, è Santo e Perfetto; è infinitamente al di sopra della capacità intellettuale e morale della creatura. Di conseguenza, un Dio ingiusto o imperfetto semplicemente non è Dio. Chi dice questo sta negando il concetto e l’esistenza di Dio. È più logico non credere in Dio che credere in un Dio che sbaglia ed è criticabile. Se la creatura non comprende i disegni di Dio, ciò non è dovuto alle mancanze del Signore, ma alle limitazioni dell’intelletto umano.

Somma sapienza del Signore

Giunge a proposito la parabola di Mt 20, 1-15: un uomo contratta cinque gruppi di operai a diverse ore del giorno, e alla fine della giornata fa pagare a tutti lo stesso salario, anche se hanno lavorato una quantità di ore diversa. Uno dei più stanchi tra i lavoratori insorge e accusa il padrone di ingiustizia, perché equipara tutti indipendentemente dal numero di ore lavorate. Il padrone gli risponde con serenità, osservando che non gli sta usando ingiustizia, perché lo ha pagato quanto era stato stipulato nel contratto, ovvero un denaro, la giusta remunerazione. Se dà agli altri lavoratori qualcosa che non è loro dovuto in termini rigidi di giustizia ma per sua benevolenza gratuita, non fa male a nessuno, tira fuori il denaro di tasca sua. Ecco allora la domanda: “Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?”

La risposta del padrone della parabola può essere data anche da Dio alla creatura che Lo critica, giudicandolo ingiusto e ritenendo che dovrebbe seguire il comportamento che adotterebbe la creatura. Se Lui “scandalizza” perché è buono oltre i parametri in vigore tra gli uomini, non c’è motivo di criticare, mentre esistono ragioni per abbassare la testa e adorare la Somma Sapienza del Signore, che vede molto più lontano della meschina intuizione dell’essere umano. È questa la risposta che la fede cattolica formula al dubbio che abbiamo presentato.

Concludendo, dire no a Dio è firmare la propria condanna, e non è certo il Signore a condannarci.

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